Da “Il Giornale di Vicenza” di venerdì 12 gennaio 2018.
I sacchetti per gli alimenti “bio” a pagamento non piacciono. E, a dodici giorni dall’introduzione dell’obbligo, la grande distribuzione rompe il silenzio. Un intervento tutt’altro che peregrino visto che, con i consumatori, sono i grossi punti vendita i più interessati al provvedimento. «La vicenda è stata gestita male», è il giudizio di Marcello Cestaro, presidente del Gruppo Unicomm. «La nostra proposta è semplice – continua -. Si confermi l’obbligo di utilizzare le buste “bio”, ma si lasci la libertà di far pagare o meno al cliente il costo del sacchetto».
Per i consumatori il problema è più antropologico che pratico. A molti non va giù l’obbligo di pagare una cosa fino a ieri gratis o comunque presumibilmente già “spalmata” sulla spesa. E poco importa si tratti di in un aggravio di pochi centesimi. Cestaro cita l’Osservatorio di Assoplastiche. Quest’ultima ha fatto una stima dei consumi dei sacchetti pro-capite, calcolando una spesa a persona tra i 4 e 12 euro l’anno. «Per cui – sottolinea – su questa vicenda c’è stata un’attenzione sproporzionata rispetto al reale impatto sulle famiglie».Nel piccolo dramma tutto italiano dei sacchetti “bio” non si parla più della genesi del provvedimento. Ed è Cestaro a ricordarla. Dice: «L’esigenza di ridurre il numero di buste di plastica è giusta e noi la appoggiamo. Ma si è trasformata da un’opportunità di salvaguardare l’ambiente in una inutile discussione. Bastava non obbligare la grande distribuzione a far pagare ai clienti il sacchetto. Come già fatto in passato, avremmo assorbito all’interno delle spese di gestione il costo dei nuovi sacchetti e si sarebbe ottenuto comunque il risultato». «Noi saremmo stati disponibili a farlo – incalza -. Il problema è reale, è un tema mondiale». Questo, per altro, avrebbe evitato la provocazione di alcuni di prezzare direttamente un frutto o una verdura alla volta, incuranti del fatto che mangiando, poi, avrebbero potuto ingurgitare la colla.
I dati politici che restano dopo le parole di uno dei big della grande distribuzione sono perciò almeno due. Da un lato si fa strada l’idea che il governo abbia avvertito le aziende solo in tempo utile per attrezzarsi. Dall’altro, l’idea è che ci sia ancora tempo per aggiustare il provvedimento. In questo non si può prescindere dai numeri. «In Italia ogni persona utilizza mediamente 198 sacchetti di plastica l’anno: la metà di questi finisce nelle discariche o nei luoghi pubblici – spiega Cestaro -. L’Unione europea ha fissato l’obiettivo di scendere a 90 nel 2019 e 40 entro il 2025». Oggi in Austria e Germania, per dire, si utilizzano meno di 30 sacchetti a testa. E pensare che in Europa l’Italia sia arrivata prima di tutti gli altri a normarne l’utilizzo. Anni fa il Belpaese era stato accusato proprio di avere imposto i sacchi “bio”. La concorrenza estera vide nella legge italiana un limite alla libera circolazione delle merci. «Ci vogliono norme che non lascino spazio a interpretazioni: obbligo per la grande distribuzione di utilizzare solo sacchetti biodegradabili e multe salate ai trasgressori», è il rimprovero di Cestaroalla «via complicata e burocratica» scelta dal governo.