Intervista di Marino Smiderle al Presidente Marcello Cestaro, comparsa su Il Giornale di Vicenza di mercoledì 2 ottobre 2019.
Guida un gruppo che macina due miliardi di fatturato e dà lavoro a oltre settemila persone. Dal quartier generale di Unicomm, a un tiro di schioppo dall’uscita autostradale di Dueville (quando la logistica comanda…), Marcello Cestaro potrebbe permettersi, come dire, di volare alto, di controllare quanti soldi gli oltre 270 supermercati e punti vendita gestiti direttamente fanno entrare ogni sera nelle casse di questo colosso della distribuzione alimentare. E invece a 81 anni, portati con fiera leggiadria nonostante la ferita al cuore causata dalla recente scomparsa della moglie Renata, il boss mantiene lo stesso approccio di 50 anni fa, quando iniziò l’avventura di una società basata sulle persone prima ancora che sui capitali. Al punto che di ogni supermercato aperto ricorda ancora oggi i nomi dei singoli salumieri che hanno reso possibile questa incredibile avventura imprenditoriale.
Ricorda come è cominciato tutto 50 anni fa?
Per la verità bisognerebbe spostare le lancette indietro di altri vent’anni. Fu mio padre Antonio a partire con l’attività di ingrosso alimentare. Diciamo che io e mio fratello Mario nel 1969 abbiamo fatto il salto, ideando la gestione di un gruppo che si occupava direttamente dei punti vendita, dei supermercati. Decidemmo di cambiare obiettivo e di puntare direttamente sul cliente finale. Nessuno nasce imparato, come dicono al sud, e pure noi abbiamo fatto i nostri errori. Ma sbagliando abbiamo, appunto, imparato a fare questo mestiere.
Il primo supermercato aperto, immagino, non si scorda mai…
E come posso scordarlo. Fu a Vicenza, quartiere di Laghetto. Partecipammo all’asta per la gestione del supermercato ospitato da un edificio di proprietà comunale. Pensavamo di trovare più concorrenza, magari con la presenza di altri commercianti vicentini, e invece all’asta c’eravamo solo noi. Era l’epoca in cui si chiudevano i piccoli negozi e i padroncini migravano poi all’interno dei più grandi supermercati. Fu un grande cambiamento, anche sociale.
In meglio o in peggio?
All’inizio fu un esperimento e devo dire che funzionò bene. Anche perché noi abbiamo sempre messo al centro il rapporto con le persone. Non siamo andati a spazzare via tutto, abbiamo creato delle strutture rese efficienti grazie alla partecipazione, anche societaria, dei vari operatori. Nel 1975 vennero a Malo in tanti a vedere com’era possibile che funzionasse una roba del genere.
Cosa capitò a Malo?
Fu il primo esempio di collaborazione tra cinque diversi commercianti, provenienti da altrettanti punti vendita. Uno faceva il responsabile, un altro si occupava delle carni, l’altro del magazzino, insomma, nacque il modello che in poco tempo riproducemmo in altri dodici casi. Si rivelò il grimaldello in grado di aprire la porta di un nuovo, inesplorato, mercato.
Passarono però da piccoli imprenditori a dipendenti…
Non è così. Li coinvolgemmo nella società e facemmo loro comprare lo stabile, in modo che potessero incassare gli affitti. Poi, col tempo, quando raggiunsero l’età della pensione, chiesero la liquidazione delle quote. Ma ancora oggi gli eredi riscuotono gli affitti degli edifici. Non saranno grandi cifre, divise per il numero dei soci di allora, ma è pur sempre un investimento che dura nel tempo.
Sembra passato un secolo. Adesso i supermercati e i centri commerciali spuntano come i funghi. A Schio ne hanno aperti cinque in un incrocio, a Vicenza c’è una lista lunga così di nuove aperture. Non sono un po’ troppi?
Lo vada a chiedere a Mario Monti. Col suo decreto Salva Italia diede la possibilità, con lo scopo di recuperare edifici e terreni degradati in centro, di ottenere le autorizzazioni ad aprire supermercati di 1.500 metri senza che i sindaci, salvo eventuali problemi di viabilità, potessero alzare un sopracciglio. C’è stato un diluvio di domande e di aperture, anche se non tutti i supermercati che aprono sono anche redditizi.
E adesso comunque siamo invasi dai discount…
Cambiamo gli orchestrali ma la musica è sempre quella. Ci sono colossi stranieri, come i tedeschi di Aldi, 65 miliardi di fatturato, che aprono dappertutto. A volte per fare la guerra al Lidl, altra catena di un grande gruppo. La concorrenza aumenta ma la redditività precipita. Non a caso Auchan ha ceduto praticamente gratis i suoi punti vendita a Conad.
Rispetto a 50 anni fa, quindi, è cambiato il mondo. Come si fa a restare sul pezzo?
Quando si è in tanti è logico che devi inventare qualcosa di nuovo. I nostri marchi, tra cui Famila, Emisfero, A&O, si sono diffusi in Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche e Lazio. Abbiamo un piano di investimenti di 160 milioni per i prossimi due anni, con una ventina di punti vendita da aprire sotto l’insegna di Unicomm o delle aziende controllate.
Suo padre è partito come fornitore all’ingrosso dei piccoli negozi alimentari e adesso dovete attrezzarvi per portare a casa la spesa ai clienti che la ordinano via smartphone. Come si vive in questo mondo?
Bisogna saper cambiare senza perdere di vista l’obiettivo finale che, per me, è quello di creare lavoro. Certo, ora ci stiamo attrezzando perché ci siano vari modi di fare la spesa, non possiamo far finta che Amazon non ci sia. Anche se sarebbe il caso che qualcuno al governo pensasse di far pagare le tasse in Italia a queste multinazionali che drogano il mercato. In ogni caso, quelli che hanno iniziato a comprare online poi li rivediamo anche tra gli scaffali. Non c’è una divisione così rigida tra chi acquista su internet e chi viene al negozio: la comunità è la stessa, ma le abitudini cambiano.
A proposito dei problemi del lavoro, la maggiore concorrenza ha eroso i margini e i contratti sono rigidi: Unicomm riesce ancora a creare posti di lavoro?
Il discorso per me è semplice. Cinquant’anni fa avevamo margini molto più grandi ma la torta da spartire era molto più piccola. Oggi i margini sono minimi ma la torta è molto più grande: morale della favola, si guadagna discretamente e si può investire assumendo anche nuovi addetti per le prossime aperture. Io ho un obiettivo ambizioso e dichiarato.
Che obiettivo?
Arrivare a impiegare diecimila dipendenti. Far lavorare le persone è un impegno sociale che sento profondamente.
Ce la farà anche con questa normativa sul lavoro? Molti suoi colleghi hanno criticato aspramente i governi che si sono succeduti per quanto fatto in materia.
La verità è che in Veneto siamo abituati ad arrangiarci. Qui noi andiamo avanti da soli. Siamo terra di imprenditoria, basti pensare a quel fondo che per prendersi la Forgital di Velo d’Astico, un gioiello creato dalla famiglia Spezzapria, ha dovuto sborsare un miliardo di euro.
Quindi lei fa finta che la politica non ci sia…
Non ho detto questo. Quando ho visto cosa hanno combinato col reddito di cittadinanza e col decreto dignità mi sono incavolato di brutto. È un incentivo a non lavorare ed è una scelta fatta da incompetenti. Avessero chiesto a qualcuno che ne capisce, di sicuro avrebbero ricevuto risposte negative. Sono errori che costano miliardi al Paese.
Lei ha creato un impero condividendo i servizi e delegando le funzioni nel gruppo. La ricetta funziona? E la successione familiare?
L’idea di creare Selex, la società che raggruppa 12 imprese affiliate fino a diventare il terzo gruppo della distribuzione, è risultata vincente. Quanto al gruppo Unicomm, ci siamo dotati di abili manager nei punti chiave. La famiglia? I miei figli hanno un ruolo preciso in azienda. Paolo si occupa degli iper, Lorenzo della parte amministrativa e Laura cura la parte tecnica. Poi c’è anche Daniela, figlia di mio fratello Mario. La squadra è affiatata. Basta guardare a quel che abbiamo ottenuto.
E la squadra di basket? Il Famila con la stella dei dieci scudetti non è solo marketing, è grande passione. O no?
La passione conta. Ho così tanta passione che il sindaco di Schio, Walter Orsi, mi ha affibbiato anche la gestione della piscina oltre che del palasport. Scherzi a parte, la passione non deva andare mai disgiunta dalla sostenibilità: noi alle ragazze diamo uno stipendio giusto, ma gli squadroni all’estero se le prendono pagandole molto di più. Noi continuiamo così.
Quanto al calcio…
Ho ancora molti amici a Padova ma ho già dato. Lasciamo fare a gente come l’amico Percassi, che a Bergamo ha costruito una squadra straordinaria. Merito anche del direttore sportivo Sartori, preso dal Chievo, uno che parla poco e fa tanto e bene.
Senta, niente Borsa per Unicomm?
No, niente Borsa. Restiamo così che andiamo bene. E abbiamo già respinto diverse offerte di acquisto per cifre importanti dall’estero. Se l’obiettivo è creare diecimila posti di lavoro, non è vendendo che lo centriamo.
Questa sede è vicina all’autostrada, segno di quanto conti la logistica. Qualcuno, anche al governo, aveva messo i bastoni tra le ruote dei treni ad alta velocità. Come la vede in futuro?
Noi abbiamo in programma di costruire un nuovo polo logistico da 100 mila metri in Veneto. Le merci devono viaggiare e noi abbiamo bisogno come il pane di infrastrutture. Se la politica si perde in chiacchiere, l’Italia perde il futuro. E non vorrei che se lo prendesse la Cina.
La Cina? Teme l’invasione?
I cinesi hanno tanti soldi, si sono comprati l’Africa, hanno comprato un sacco di imprese italiane e ancora non lo sappiamo. E fanno tutto senza discutere perché la democrazia non è il loro forte. Ai giovani consiglio di imparare il cinese. In fretta.